Valutazione del rischio psicosociale nel DVR: modelli avanzati e casi pratici
La valutazione del rischio psicosociale è oggi una parte irrinunciabile del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR).
Questo tipo di rischio include lo stress legato all’organizzazione del lavoro, il carico mentale, il tecnostress, le pressioni sociali e i cambiamenti imposti da modelli lavorativi sempre più digitali.
Global Medical Service supporta aziende e organizzazioni nell'integrazione di strumenti avanzati per la gestione di questi aspetti. L'obiettivo non è aggiungere burocrazia, ma prevenire situazioni critiche prima che generino malessere, disfunzioni nei team o vere e proprie patologie.
Oggi esistono modelli validi, strumenti operativi e metodi partecipativi per affrontare queste problematiche in modo concreto. Vediamo come funziona il processo e quali strumenti si stanno affermando come standard.
I modelli di valutazione: strumenti efficaci per capire e agire
Negli ultimi anni sono stati messi a punto modelli pratici per analizzare e intervenire sul rischio psicosociale. Alcuni si basano su parametri oggettivi, altri si concentrano sulla percezione diretta dei lavoratori. Tra i più utilizzati c’è il modello VARP, che consente di osservare il funzionamento dell’organizzazione da diversi punti di vista: relazioni interne, struttura gerarchica, chiarezza dei ruoli, comunicazione e carichi di lavoro.
A questo si aggiungono il modello europeo HSE e la sua versione ISPESL, costruiti su sei aree centrali: domanda, controllo, supporto, relazioni, ruolo, cambiamento. Sono modelli pensati per facilitare il confronto tra aziende diverse e per dare una lettura chiara dei punti critici.
Nel 2025 è stato aggiornato il modulo INAIL per il lavoro digitale e ibrido, con indicatori specifici legati alla diffusione dello smart working. Il documento fornisce linee guida pratiche per identificare situazioni di iperconnessione, assenza di confini tra tempi lavorativi e privati, o sovraccarico da multitasking digitale.
L’impiego di questi modelli consente di passare da un approccio formale a uno realmente funzionale, in cui la prevenzione non è una dichiarazione, ma una sequenza di azioni coordinate. Ogni modello può essere usato da solo o combinato con altri, in base alla dimensione dell’impresa e alla complessità organizzativa.
Le fasi operative della valutazione psicosociale
La valutazione del rischio psicosociale non è un blocco unico. È un processo a fasi che parte dalla raccolta di dati organizzativi e arriva fino alla definizione di un piano di miglioramento.
Nella fase preliminare si analizzano i dati già disponibili: turni, assenteismo, rotazione del personale, segnalazioni formali o informali. In questa fase possono essere utilizzate checklist strutturate per capire se è necessario procedere con una seconda fase più approfondita.
Quando i segnali raccolti indicano situazioni a rischio, si attiva la valutazione approfondita. Qui entrano in gioco strumenti come questionari anonimi, focus group e interviste semi-strutturate, sempre nel rispetto della privacy. Questa fase è utile per leggere anche i segnali deboli: demotivazione, calo di collaborazione, conflitti relazionali, isolamento professionale.
I dati vengono poi elaborati e confrontati con gli standard dei modelli adottati. A questo punto, l’azienda può individuare aree di intervento e gruppi omogenei di lavoratori esposti a condizioni simili, come ad esempio chi lavora in smart working, chi svolge ruoli educativi o chi opera in turni notturni.
Le fasi di valutazione vanno riportate nel DVR, allegando i risultati e le decisioni conseguenti. Ogni informazione deve essere verificabile e mantenuta aggiornata.
Come integrare la valutazione nel DVR in modo pratico
La parte finale del processo riguarda l’integrazione nel DVR. Questo non significa semplicemente “inserire un paragrafo”, ma riportare in modo documentato l’esito della valutazione, indicando azioni concrete e tempi di attuazione.
L’azienda dovrà definire un piano di intervento, suddiviso per priorità. Alcune misure riguarderanno l’organizzazione del lavoro (riunioni, orari, carichi), altre coinvolgeranno la formazione, il supporto psicologico o l’accesso a servizi dedicati. Ci sono anche interventi strutturali, come la ridefinizione degli spazi, l’introduzione di strumenti per la gestione dei flussi digitali o il supporto alla disconnessione.
È utile lavorare in squadra: datore di lavoro, RSPP, medico competente e RLS devono essere coinvolti. Il coinvolgimento dei lavoratori è un altro elemento decisivo, non solo per la raccolta dei dati ma per costruire un clima collaborativo e favorire l’adesione alle misure previste.
Ecco un riepilogo delle azioni utili da pianificare:
Definire i gruppi omogenei di lavoratori in base a ruoli, orari, modalità di lavoro.
Individuare le criticità attraverso una combinazione di strumenti oggettivi e soggettivi.
Tutte le azioni devono essere documentate. Il DVR dovrà contenere un riferimento preciso alle misure adottate, al calendario degli aggiornamenti e agli strumenti di monitoraggio.
Applicazioni pratiche e risultati ottenuti in diversi contesti
Numerose aziende, sia pubbliche che private, stanno già applicando questi modelli. L’adozione del modulo INAIL aggiornato ha permesso a realtà con personale in lavoro agile di gestire al meglio il rientro post-pandemia, identificando le situazioni più critiche legate al sovraccarico digitale.
Il modello VARP è stato utilizzato con successo in aziende di medie dimensioni per migliorare la comunicazione interna e ridurre i conflitti tra reparti. Gli interventi successivi hanno portato a una riduzione dell’assenteismo e a un miglioramento della percezione del clima organizzativo.
In ambito scolastico sono stati attivati programmi di ascolto, questionari anonimi e sportelli di supporto. L’obiettivo è prevenire il burnout tra gli insegnanti, spesso esposti a pressioni continue e a carichi emotivi rilevanti. I risultati ottenuti confermano che anche piccoli cambiamenti organizzativi possono avere un effetto positivo sul benessere.
Le aziende che hanno integrato questi modelli nel DVR hanno rilevato una maggiore motivazione nei team, una riduzione dei conflitti e un miglioramento nella gestione delle criticità quotidiane. In alcuni casi, è stato anche possibile abbassare il turnover e migliorare le performance generali.
Valutare il rischio psicosociale è un obbligo. Ma oltre l’obbligo c’è l’opportunità: leggere davvero cosa accade nelle relazioni di lavoro, capire dove si generano tensioni e quali condizioni fanno crescere o peggiorare il benessere. Il tutto con strumenti ormai accessibili e metodi testati.
Per fare questo serve un processo chiaro, strumenti aggiornati e la volontà di ascoltare le persone. Con questo approccio, la valutazione non è un ostacolo, ma uno strumento utile per costruire ambienti di lavoro più sostenibili, produttivi e umani.
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